Il Trittico di San Giovenale

"Trittico di San Giovenale" di Masaccio

 

Presentare il "Trittico di San Giovenale" ai popoli di Pian di Cascia di Reggello potrebbe sembrare pleonastico dal momento che l'opera è rimasta nella zona ininterrottamente per 539 anni. Ma dal momento che la storia ufficiale dell'opera si è svolta lontano dalla sua sede originale (fu proprio la sua "agnizione" a determinarne l’allontanamento nel 1961, seguito da un ritorno quasi per acclamazione popolare dopo 27 anni) diventa utile fornire un supporto storico-critico all'immagine devozionale considerata in loco un patrimonio familiare.
La chiesetta di San Giovenale, per la quale l'opera fu eseguita e riconosciuta ufficialmente nel 1961 da Luciano Berti, allora funzionario della Soprintendenza fiorentina e poi direttore degli Uffizi e Soprintendente, ha perso nella sua attuale configurazione architettonica quasi ogni traccia della struttura originale che sappiamo antichissima: monsignor Raspini ne ritrova le prime tracce nel 1032; massicce ristrutturazioni successive (tra XVII e il XX secolo), ne hanno completamente "camuffato" l'aspetto austero, aggiungendo all’esterno un portichetto su quello che in origine doveva essere il lato dell'abside.
La chiesetta appare quasi inglobata in un piccolo nucleo di abitazioni immerse nel verde della campagna, con tracce di antiche strutture quattrocentesche.
Nel corso dei secoli, da sopra l'altare maggiore dove quasi certamente si trovava, il dipinto fu declassato (secondo noti procedimenti legati al cambiamento del gusto) e relegato ad una posizione secondaria, seppur di rispetto, nella piccola tribuna dietro l'altare.
Qui fu visto dall'ispettore delle Regie Gallerie Guido Carocci che nel 1890 compiva una ricognizione della chiesa e ne schedava sommariamente gli arredi. Carocci documentava allora la recente ricongiunzione delle tre tavole che compongono il trittico e che erano state separate in epoca imprecisata sacrificando la cornice originale: tale cornice doveva essere intagliata e dorata con colonnine tortili, secondo i più diffusi modelli contemporanei, e invece una cornice a listello ne copriva i bordi nascondendo ogni traccia di iscrizione. Già allora la qualità del dipinto non era sfuggita all'acuto Carocci che la collocava però genericamente in ambiente senese. In una lettera di poco posteriore (del 1912) l'allora parroco di San Giovenale, P. Tito Giovani, affermava che il valore approssimativo attribuito dal Carocci all’opera in questione era di mille lire!


Dal 1890 dovevano trascorrere altri 71 anni prima che il Berti, una volta riscoperto il trittico in cattive condizioni a San Giovenale, attribuisse all’opera il meritato valore storico ed artistico. Questa fu trasferita a Firenze per restauro ed accertamenti, finché lo studioso, attraverso un cauto ma già indicativo riferimento allo "stile di Masaccio", presentò l'opera alla mostra di "Arte sacra antica" nel 1961: ebbe così inizio il fervido lavoro di indagine sul doppio binario del restauro, seguito da Umberto Baldini, e dello studio critico-filologico, condotto dal Berti, al termine del quale, grazie ad un'intensa e lucida analisi, venne riconosciuta la paternità di Masaccio. Tale riconoscimento compare in due articoli fondamentali del 1961 e del 1962, convogliando in seguito le conclusioni scientifiche del Berti nella sua monografia dedicata all'artista (1964).
Di grande rilevanza fu la scoperta avvenuta nella primissima fase di restauro: la scritta emergente sul bordo inferiore del trittico, coperta dal listello che fungeva da cornice; infatti, accanto ai nomi dei Santi posti lateralmente, compariva la data di esecuzione dell’opera: "ANNO DOMINI MCCCCXXII A DI VENTITRE D'APRILE". Si tratta quindi della prima opera eseguita da Masaccio a noi nota : opinione accettata e condivisa fin dall’inizio dalla critica ufficiale.